LOT 0248 GIOVANNI BERNARDO CARBONE (1614-1683)
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GIOVANNI BERNARDO CARBONE (1614-1683) La Beata Vergine Limbania in adorazione del Crocifisso olio su tela, cm 220 x 145 Bern.us Carbonus /conf.es 1666 (in basso a destra) La grande tela è eccezionalmente firmata e datata (fig. 1) e aggiunge dunque un importante tassello cronologico al corpus dei dipinti di Giovanni Bernardo Carbone, più noto per i ritratti, ma assai apprezzato anche per i soggetti sacri. Le dimensioni della tela suggeriscono di interpretarla come pala destinata a un altare, sia esso all"interno di una cappella di un palazzo o castello, di una chiesa o di un convento. Per ciò che concerne l"interpretazione iconografica si deve rilevare che la mancanza dell"aureola sulla figura femminile porterebbe a escludere che si tratti di una santa. Non paiono infatti potersi collegare a nessuna figura neanche gli attributi: il grande Crocifisso, il libro con il titolo indicato a chiare lettere sul dorso, un piccolo libro d'ore appoggiato sopra e, sempre nello stesso bellissimo inserto di natura morta, il pettine di ferro strumento del martirio (fig. 2). Nel loro insieme gli oggetti parrebbero alludere ai doveri della vita monacale: la preghiera, la lettura e lo studio dei testi sacri e il sacrificio, per una completa offerta di sé stessi a Gesù. Proprio per la ben nota fama del pittore come ritrattista, non è infatti da escludersi che il dipinto sia in realtà un vero e proprio ritratto di una giovane di casa fattasi suora, visto anche che i tratti fisionomici sono descritti con cura e con la capacità di trasmettere anche la dolcezza della ragazza (fig. 3). Potrebbe trattarsi della figlia del committente, che la famiglia vuole ricordare, magari come exemplum, per la scelta della vita monacale, tanto consueta allora quanto sentita, specie in alcune famiglie particolarmente religiose tra quelle del Patriziato genovese. Il volto, meravigliosamente tratteggiato dal pennello capace del Carbone parrebbe confermare la ragionevolezza di questa ipotesi. Anche la Lanterna sullo sfondo, e cioè l"inserimento del celebre simbolo di Genova, pare un elemento di personalizzazione dell"immagine, quasi nel rispetto di quel senso di appartenenza e identificazione con la città, così sentito dall"aristocrazia genovese. L"opera è inoltre di grande importanza per la presenza della data (1666), oltre che della firma. Il settimo decennio del secolo, entro cui cade la sua esecuzione, è notoriamente quello che contiene "il nucleo più compatto" delle opere di Carbone (D. Sanguineti, Giovanni Bernardo Carbone, Soncino 2007, p. 23) e cade al ritorno da un proficuo viaggio di studio a Venezia alla fine del decennio precedente. È il momento in cui si registra "una felicissima fascinazione cromatica" e un realismo già notato anche dalle fonti (F. Alizeri) che possiamo apprezzare anche in questo inedito, soprattutto se lo immaginiamo pulito e ripristinato nei suoi valori timbrici con un auspicabile restauro. Il primo biografo del pittore, Carlo Giuseppe Ratti (1769) è particolarmente stringato nel tracciarne il profilo e la descrizione delle opere esposte al pubblico è davvero succinta e non consente, al momento, di indicare l"originaria provenienza di questa tela. Fig. 1. La firma e la data. Fig. 3. Il dettaglio con la natura morta. Fig. 3. Il dettaglio del volto. Anna Orlando 8-2019 Bibliografia: D. Sanguineti, Giovanni Bernardo Carbone 1616-1683, SAGEP, 2020, Scheda A10 pag 232
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